La pittura come unica possibilità di esistere. 1985

I personaggi che appaiono nella pittura senza sfondo, senza scena, senza paesaggio, nel teatro asciutto e amaro dei quadri di Giuliano giuliani sono racconto di realtà storiche e dunque di ritratti, oppure sono corpi di un tempo leggero e fuggevole dunque fantasmi? La sua pittura abita il tempo di fantasmi del tempo per questo non è una pittura che dipinge e dunque colora narra descrive o scatena immagini; i suoi quadri sono piuttosto uno schermo ove vengono proiettate stagioni abitati da fantasmi, spazi che si rendono fantasmi (come nelle Villes di Rimbaud). Per questo il tempo non ha una storia nella sua pittura e gli spazi non trovano spazio: non c’è una fine del tempo, tutto è immobile, nulla è movimento, non c’è un cominciamento, nulla si trasforma e il nulla si deforma, nulla muta, niente parola né segno: tutto ciò che è, è soltanto ciò che si vede o è riuscito a trovare il posto nello spazio per esistere. La ragione non ha posto nella sua pittura, ma neppure la favola; il cuore non trova il luogo da abitare: ciò che riesce a resistere nei suoi quadri è piuttosto la paura di ciò che ancora la coscienza non accoglie, e il tentativo di trasformare l’ipotesi della realtà in poema incompiuto come fotogrammi senza sequenza e senza connessione. Come se contenesse la pienezza, un tempo senza passato presente e futuro. Il quadro e ciò che è: la pittura è l’unica possibilità per esistere ancora oltre il mondo, pur restando nella notte e negli incubi del mondo. La pittura non libera l’artista da ciò che teme, ma consente di continuare ad esistere, mettendo tra parentesi ciò che ancora non comprende. La pittura è in Giuliano Giuliani l’avvio del cammino per continuare ad accogliere il mondo, un mondo che non ama. Ciò che ama è l mondo della pittura.

C. Benincasa

Paesaggi silenziosi, ricordi ritrovati.
Noi alla ricerca di noi stessi. Noi nella pittura.
L’opera diviene poesia quando, nel sottile gioco del completamento estetico, si ritrovano le pedine mancanti che stavamo cercando, indispensabili per ricomporre il puzzle visivo che costituisce l’interiorità in tutta la sua complessità; noi, confusi e complicati universi esclusivi.
Complessità inspiegabili se concepite solamente attraverso il mondo apparente, quello analizzato con gli occhi, superficialmente selezionato dalla vista.

“Non ci sarebbe nulla di strano”, ribattei, “perché certe persone dalla vista più debole vedono molte cose prima di altre dalla vista più acuta”. (Platone, La repubblica).

Totalità vuol dire percezione completa dell’intero, vuol dire emancipazione dal visivo per lasciar spazio ad una antica concezione che vede coinvolti tutti i sensi in maniera paritetica.
Il mondo osservato è solamente illusione, apparenza e incompletezza.

“Ora fa’ questa considerazione: qual è lo scopo della pittura verso ogni singolo oggetto? Imitarlo come è in realtà o come appare? Insomma, è imitazione dell’apparenza o della verità?”. (Platone, La Repubblica).

Udito, tatto, olfatto, gusto e, naturalmente, vista. Questi sono i sensi necessari per la corretta e completa osservazione di queste opere.
Il colore ha sapore e la materia diviene tattile, epidermica. Le forme si ascoltano e l’opera diviene esperienza percettiva completa, meritevole di essere vissuta in tutta la sua pienezza, con tutta la sua capacità di emozionare, solamente per chi è capace di provare profonde emozioni.
Soltanto considerando l’opera come esperienza comprendiamo l’arte di Giuliani in tutte le sue sfaccettature; unicamente così essa può divenire terapeutica, curativa, necessaria per scoprire le incompletezze, per ritrovare quei pezzi che mancavano per ultimare il quadro completo della nostra totalità, così invisibile se cercata solamente attraverso gli occhi. Disagi e sofferenze derivano dall’incapacità di comprendere appieno la realtà apparente che impropriamente consideriamo completa perché interpretabile solamente per mezzo della vista. 
Il mondo è illusione, null’altro che illusione.
Siamo troppo abituati ad affidarci ai nostri occhi; diamo per scontato che quello che vediamo è ciò che effettivamente è, che ciò che esiste è quello che esteriormente appare. Ma il mondo sensibile non è fatto solamente di materia: questa è sempre osservabile, le emozioni che essa ci propone, no.
La musica non è visibile eppure esiste. 
Viviamo osservando il mondo invisibile.
Quello che si trova davanti a noi scompare, non c’è, non c’è mai stato. 
La cornea è piatta. La luce impressiona l’occhio come una superficie piana, nulla più di forme confuse e colori riflessi sulla superficie dell’occhio. Solo l’esperienza è capace di interpretare le macchie per restituire un’improbabile profondità di una contingenza irreale.
I paesaggi silenziosi di Giuliani non ripropongono ciò che ingenuamente crediamo di conoscere.
La dimensione che ci offrono è fuori dallo spazio e dal tempo. 
Eternità sospese in istanti che durano per sempre, cristallizzati sulla superficie dell’opera.
Dinamiche della memoria, meccanismi della mente. 
I paesaggi di Giuliani esistono sì, ma da un’altra parte, altrove, in altri posti, in tutti i luoghi tranne che qua; superfici a mezz’aria che svelano il mistero di un mondo inconscio, di un’idea riflessa senza mediazioni sulla tela. 

La pittura di Giuliani è pittura intellettuale. 
Là dove termina il gesto virtuoso comincia la citazione colta.
Dalle sue opere è chiaramente percepibile la sua matura personalità creatrice che si muove indifferentemente tra Matisse e Rothko, tra De Kooning e Mattioli.
Le stratificazioni dei paesaggi sono contaminate da insistenti sovrapposizioni di materia, velature di colore che ricoprono ripetutamente altra pittura.
L’effetto finale è un tripudio di gradazioni tonali, di trasparenze e di infinite sfumature, leggibili solamente dall’occhio dello spettatore attento; colui che, distratto, non si sofferma a godere delle sensibili gradazioni cromatiche e tonali, delle delicate trasparenze, non comprende l’intenzione dell’artista e tutti i suoi tentativi nel volerci proporre l’intera complessità della percezione.

Dipinti per ridefinire la nozione di tempo
Giuliani non è un pittore figurativo.
I suoi paesaggi virano sul referenziale solamente quando gli è necessario un pretesto, una scusa per fermarsi per ritrovare un punto fermo, un’apparenza riconoscibile.
Tutto il resto è schietta e genuina gestualità, azione creatrice allo stato puro.
Ciò che per lui è importante non è il risultato finale, il quadro, l’oggetto concluso, ma l’opera in quanto contenitore del processo creativo, tabella di marcia dell’intera azione sulla superficie, planimetria tempificata della costruzione pittorica. 
I suoi paesaggi sono da scoprire nello scorrere tempo, strato dopo strato, pennellata dopo pennellata. 
Solamente lasciando da parte la velocità di lettura alla quale siamo costretti dai ritmi contemporanei, possiamo valutarli nella loro essenza ed assaporarne la calma e la tranquillità dei momenti sospesi che ci propongono. 
Per Giuliani lo spazio senza tempo non esiste, così come il tempo senza spazio; sono entità inscindibili e inseparabili. 

“Non c’è spazio senza tempo, non c’è tempo senza spazio. Qui, con questo spazio dipinto, dilatato su piani distinti, ho recuperato la misura del tempo”.

Tanto vale per la creazione, vale per la fruizione. Lo spettatore scopre l’opera lentamente, ridimensionando la velocità della vista per riappropriarsi della lentezza della sensibilità.
Il quadro finito non è quindi mai il soggetto del suo fare ma solamente una conseguenza, il mezzo per raggiungere lo scopo.
L’azione dell’artista lascia tracce sovrapposte del suo passaggio, non vuole nasconderne il processo: le pennellate debbono rimanere visibili e manifestarsi certe e inconfutabili; il passaggio dell’artista è evidente tra le sovrapposizioni della materia, tra i solchi e i graffi, tra le ampie sfumature, laddove gesto e segno lasciano tracce del percorso costruttivo, generatore.

La bidimensionalità della superficie non vuole suggerire alcuna finzione tridimensionale ma una multidimensionalità percettiva. I suoi luoghi, disposti spesso su piani sovrapposti, non sono singole opere nel quadro ma, tessere di una continuità lessicale che può essere letta solamente come un insieme unico.

L’albero solo, simbolo della solitudine
“Dipingo la mia solitudine, dipingo la disperazione di tutti coloro che si sentono soli nella moltitudine. Dipingo l’assenza tra le presenze invisibili. Dipingo la presenza utilizzando l’assenza”.

L’albero come metafora dell’isolamento, simbolo della solitudine dell’uomo, icona della solitudine dell’artista. 
L’albero sperduto nel paesaggio nebbioso, affogato nella foschia che tutto avvolge e che nasconde l’evidenza, foschia emblema dell’incapacità di orizzontarsi. 
Non ci sono figure umane, nessun movimento, solamente l’incoerenza di un’assenza forte, di un’assenza presente. Solamente un albero a testimoniare la sofferenza di colui che è solo, nell’invisibilità dell’abitudine e del consueto, colui che non riesce più a orientarsi nella ricerca della comprensione di se stesso.
Il quadro “Solitudine” comunica, e non solo didascalicamente, il dramma comune, il leitmotiv di tutto questo ciclo di opere.
Chi lo conosce sa che Giuliani è un artista che ama la compagnia degli altri. E’ uomo tra gli uomini in ogni istante della propria vita, tranne che durante l’intimità dell’atto creativo, che diviene volutamente momento d’isolamento personale, momento di pura e assoluta concentrazione.
Ma non è mentre dipinge che la solitudine si fa strada, che trova spazio. La solitudine che vuole dipingere Giuliani è quella provata dall’essere vivente in mezzo agli altri esseri, è quel senso d’impotenza che si realizza solo quando ci si trova in mezzo al gruppo.
E come l’urlo drammatico nel frastuono, il grido a squarciagola che finisce per essere silenzio disperato. 
Questa è la solitudine dell’albero solo di Giuliani; è l’urlo è azzittito dalla morbidezza della foschia e dalla lontananza di uno spettatore esterno all’opera, presente solamente nella limpida e tersa dimensione dell’osservazione.


I titoli dipinti
Le opere di Giuliani sono sempre accompagnate da una scritta, da una frase che finisce inevitabilmente per divenirne il titolo. Piccole liriche nell’opera che la accompagnano caratterizzandone fortemente il percorso espressivo.
Le sue frasi sono la continuazione di un messaggio visivo che si vuole completare su un differente piano della percezione.
La superficie dell’opera diviene spazio metalinguistico per una comunicazione a più livelli.
I titoli di Giuliani, come direbbe Susan Sontag, sono le citazioni che

stabiliscono [con l’opera] un rapporto aleatorio e intuitivo, un po’ come le parole e i suoni di John Cage s’accoppiano, nel momento della rappresentazione, ai movimenti di danza precedentemente coreografati da Merce Cunningham.

I suoi titoli devono essere immediatamente leggibili, non è consentita alcuna confusione. Sono dipinti in carattere stampatello perchè non ci siano fraindimenti, devono essere inequivocabili. Giuliani li dipinge con un normografo per evitare che qualcosa si perda nella comprensione, interrompendo la fluidità della fruizione diretta.
D’altra parte però non è permesso al titolo di apparire sovrapposto o estraneo. Il colore è lo stesso dell’opera, simile a quello del paesaggio per risultarne parte integrante.
Pittura sulla pittura, come tutto il resto. 
Solamente pittura, null’altro che pittura.


G.B.

Giuliani in mostra a Dubai. Landscapes

di Giacomo Belloni

Febbraio è un mese ricco di eventi e di manifestazioni negli Emirati Arabi, sia a Dubai che ad Abu Dhabi. Degna di nota è per noi la “solo exhibition” dell’eclettico artista romano Giuliano Giuliani. Sono in molti nel Golfo a essere interessati al suo lavoro, anche sulla scia che tutto ciò che è made in Italy qui gode di un appeal fuori dal comune. Nonostante le molte proposte Giuliani ha preferito concentrarsi su un unico evento, della durata di soli 10 giorni, a Dubai, presso il nuovo spazio BlueSky Contemporary Art, nell’esclusivo Dubai Design District.
L’importanza dell'evento è testimoniata dal fatto che l’organizzazione è stata curata da alcuni gruppi di caratura internazionale. Non poteva di conseguenza mancare la sponsorship sia di Greta Edizioni che di AI Magazine, sempre attenti sostenitori di iniziative degne di nota.
Ma cos’è che rende tanto particolare e ambita - anche qui negli Emirati - l’arte del maestro romano? Sarà per quella sua capacità innata di riuscire a esprimersi con rara sincerità, così tanto ricercata da quegli appassionati che oggi vogliano uscire dagli schemi usuali per orientarsi verso un’arte pulita, reale e onesta; un’arte non urlata, mai invadente, delicata e a misura del fruitore riservato.
La pittura di Giuliano Giuliani è infatti sempre riferita a una dimensione serena, sussurrata a punta di pennello, frutto di un’onestà creativa e di una sicurezza nel mezzo espressivo raramente riscontrabili in un mondo tanto contaminato dalle necessità del mercato.
Forse anche per questo l’artista romano ha deciso da tempo di evadere dal contesto nostrano per abbracciare nuove possibilità, meno limitate da una crisi che sembra aver portato anche nell’arte molte delle proprie restrizioni.
Per lui la pittura deve essere istantanea, un medium in grado di recepire e di trasmettere l'emozione attraverso una sola singola battuta, almeno in prima istanza. Il tempo è decisivo: l’istante del colpo d’occhio così come quello della pennellata, devono essere in grado di far uscire allo scoperto tutte quelle sottigliezze che solamente un’arte immediata riesce a trasmettere. Colpire fulmineamente, toccare le corde necessarie per poi lasciare lo spazio, ma solamente a palpitazione suscitata, ad una riflessione successiva, più meditata. La pittura è il mezzo capace di colpire in profondità, ma soprattutto in grado di consentire all'artista un'espressione in linea con le dinamiche e le tempistiche della passione e del sentimento.
Ecco perché dipinge. Su tela, su tavola, su masonite, su carta; pittura su ogni superficie possibile, purché pittura, e ovunque sia possibile dipingere. Per Giuliano Giuliani fare arte non è mai una questione di formato o di tecnica ma una necessità interiore dettata dalla ricerca dell’espressione pura, scevra da qualsiasi interferenza, da qualsiasi contaminazione postuma e inquinante. Solamente così il suo agire creativo riesce ad essere l’esteriorizzazione materiale dell’essenza, rivelazione tangibile dei silenzi inespressi.
Dipingere è per lui un’esigenza irrefrenabile, un impulso istintivo e inconscio, la necessità incontenibile e necessaria per imprimere nel diario dell’esistenza il segno leggero del passaggio fugace e rapido dell’intenzione. Ecco perché la sua opera è vera e propria poesia, capace di mettere in luce le risposte che stavamo cercando, quelle indispensabili per ricomporre il puzzle visivo che costituisce la nostra complessa interiorità. Per una completa percezione delle sue opere la vista non è sufficiente, sono coinvolti tutti i sensi. Il colore ha sapore e la materia diviene tattile, epidermica. Le forme si ascoltano e l’opera diventa esperienza percettiva completa, meritevole di essere vissuta in tutta la sua pienezza. Soltanto considerandola in questo modo comprendiamo l'arte di Giuliani in tutte le sue declinazioni; unicamente così essa diviene il mezzo per riscoprirci, per ritrovare i pezzi che ci mancavano.
Al contrario di ciò che potrebbe apparire Giuliano Giuliani non è un pittore figurativo. I suoi paesaggi virano sul referenziale solamente quando gli è necessario un pretesto per fermarsi e ritrovare un punto fermo, un’apparenza riconoscibile. Tutto il resto è schietta e genuina gestualità, azione creatrice allo stato puro. Ciò che è importante non è il risultato finale ma l’opera in quanto contenitore del processo creativo, tabella di marcia dell’intera azione sulla superficie. L’artista lascia infatti tutte le tracce del proprio passaggio, non vuole nasconderne nulla: le pennellate debbono rimanere visibili e manifestarsi senza pudore; il sua passaggio è evidente tra le sovrapposizioni della materia, tra i solchi e i graffi, tra le ampie sfumature, laddove gesto e segno lasciano tracce del percorso generatore.
Questa è l'arte di Giuliano Giuliani, artista prezioso che oggi qui sta avendo un successo incredibile. D'altronde la sua è una storia che abbiamo già visto molte volte, e che purtroppo continuerà ripetersi nel tempo. Noi, tendenzialmente esterofili, finiamo troppo spesso per non accorgerci dei nostri talenti, magari preferendo artisti ma che offrono un sapore straniero, anche se poca sostanza.



G.B.

"I quadri di Giuliani non li vediamo davanti a noi, li sentiamo nell'animo. Non sono paesaggi da guardare, sono esperienze da vivere; ciò che vediamo con gli occhi è solo l'immagine di quanto è già dentro di noi". Le forme e i colori che popolano i suoi dipinti ci trascinano in una dimensione che va oltre il mondo il visibile, oltre la dimensione razionale. E' come se i segni nell'opera esistessero al di là di ciò che appare, è come se già ci appartenessero e si rendessero visibili solo tramite i suoi quadri. Sembra che l'arte di Giuliani, così come il sogno, sia il canale capace di rendere visibile questa dimensione nascosta; è il ponte tra il mondo reale e il mondo interiore. Nei suoi paesaggi dipinti riconosciamo i nostri stati d'animo e, ritroviamo l'essenza. Macchie di colore, forme e linee che traducono per noi le nostre emozioni più profonde, sono i paesaggi dell'anima ". https://www.onlinesconto.it

G.Belloni

Opere su carta 2022 - 2023


Le opere di Giuliano Giuliani sono una scoperta piena di ammirazione e di stupore le abbiamo guardate con attenzione e la sorpresa è stata enorme per la loro qualità e la loro intrinseca bellezza ma questo non basta per descrivere opere così intense e insolite.
Nel suo ordine creativo l’artista romano definisce velocemente un caos appropriato e ordinato su un supporto insidioso: la carta. Con una tecnica sapiente Giuliani utilizza la carta riuscendo a trovare profondità compositive con tocchi lievi di colore, una tecnica raffinata e studiata che sconfina a tratti nell’alchimia e a tratti nelle tecniche della stampa.
Le sue opere sono inseribili nell’area dell’informale segnico colto, mai gestuale, che talvolta presentano piccoli rimandi a forme e volumi riconducibili al mondo della natura con piccoli tocchi di colore veloci e rarefatti.

Abbiamo posto a Giuliano Giuliani alcune domande:

Le tue composizioni sono contemporaneamente ordinate, ma scomposte come crei questo equilibrio?

Francamente non lo so posso dire, frequentandola, che la pittura è un caos molto ordinato, ripeto ordinato, dove nulla è lasciato al caso.

Che tecnica utilizzi per arrivare ad opere così liriche?

Anche se la carta è una superficie insidiosa e non permette ripensamenti e correzioni è tutto molto semplice. La carta viene prima leggermente bagnata con una soluzione a base di acqua e colla vinilica una volta asciutta traccio dei segni, mai simboli, servendomi di rami caduti, perché resistono meglio alla pressione della mano, il colore è acrilico. Quelle più sottili le stropiccio, le spiano, poi inizio con il colore e gomma lacca. Infine guardo il risultato, tutto qui.

Cosa ti spinge alla creazione?

Non lo so, forse perché bene o male è la cosa che mi viene meglio, poi perché a volte quello che hai fatto ti fa sentire anche meglio. Non ho la pretesa che questo possa accadere a chi guarda, perché non è il mio scopo, me lo posso augurare, questo sì. Alla fine qualsiasi lavoro vive di vita propria ed io lo guardo sempre come se l’avesse fatto un altro. È strano ma è così.

Quanto è importante per te la Materia?

È importante come la usi non per ciò che è o può sembrare.

Visioni primordiali e oniriche ogni pennellata sembra studiata e controllata è corretto questa interpretazione e quanto tempo impieghi per creare le tue opere?

Io sono molto rapido e l’interpretazione è giusta.


A cura di Giampaolo Bonesini e Carla Moscatelli.
Galleria SpazioGrafico
MassaMarittima (GR)
05/25 Agosto 2023

GP. Bonesini e C.Moscatelli

Era un afoso pomeriggio. E' una notte di luglio.
I colori densi, gli odori forti. I colori indistinti, l'odore è quello del mare.Nella storia dell'arte o meglio nello studio, approccio alla storia dell'arte, siamo stati in qualche modo abituati, a volte costretti, a "riconoscere" la mano dell'artista: attraverso il colore, come confondersi con quelli particolari di Domenico Veneziano, di Piero della Francesca, Rosso Fiorentino fino a Kirchner o Gauguin! oppure attraverso il segno, dallo stile del "bel disegno" fino ad arrivare alle "cifre" dell'astrattismo; dai soggetti come nel periodo del romanticismo o dell'impressionismo; o dalle periodizzazioni stesse, cui gli storici dell'arte ci hanno abituato. 
Non sono pochi gli artisti che non rispondendo a certi canoni, o di difficile collocazione, o per una loro personalità non "svendibile", non accomodanti, non hanno incontrato una fortuna critica.
La riconoscibilità appaga, accontenta tutti.
L'artista: che con un senso di onnipotenza pensa di divenire un po' eterno; il riguardante: che non deve fare il minimo sforzo o ricerca su ciò che ha davanti e si sente sicuro e in qualche modo è come se si appropriasse di un pezzo di storia, di un'opera d'arte; il mercato: il gioco è facile e semplice, è necessario conoscere dimensioni, soggetto, data ed il prezzo è fatto!; il museo o la galleria: richiama più una mostra con un brutto Picasso che un'altra con venti splendidi Campiglì
Ammetto. Consola e l'occhio non subisce alterazioni quando ci si trova davanti al "conosciuto", non si entra in crisi e anzi si prova una sorta di appagamento e un certo compiacimento nel "riconoscere" un'opera: sembra quasi di rivedere un amico.

E l'artista? Non può innamorarsi della sua opera, non potrebbe, una volta terminata, separarsene definitivamente e forse ciò spiega la ripetitività di certi segni o colori, etichettata o scambiata come "cifra". 
Forse, ma è un frammento di pensiero, è una incapacità di soddisfazione; verrebbe automatico parlare di desiderio, ma il desiderio è ben altra cosa! legata solo agli esseri umani e non alle cose inanimate; dicevo incapacità o timore di staccarsi, separarsi da qualcosa che ci rassicura o nei casi peggiori carenza, impossibilità di trasformazione. 
Qualcuno più coraggioso di me parlerebbe di carenza di vitalità, la quale comporta invece una trasformazione e separazione continua.L'artista davanti alla tela bianca dovrebbe compiere un unico sforzo: togliersi di dosso la pelle-razionalità che lo ha spinto ad andare ad acquistare la tela, i colori, i pennelli. Il minimo fardello di razionalità che gli resterà incollato, lo renderà prigioniero. Costretto a ricercare mentalmente il ricordo di un segno o colore o tratto già eseguito, non originale. Prometeo incatenato: quel puzzle costituito rinascerà ogni volta, accompagnando così la mano quasi in un automatismo che di creativo ha ben poco.Al contrario, la razionalità ormai guscio vuoto di una cicala caduto accanto al cavalletto, per l'artista sarà sempre un gioco alla pari: uomo nuovo davanti ad una tela nuova.

Il ricordo di un sogno, di un volto di donna, di un odore, di un pensiero, di una sensazione, un'emozione, una melodia: a ciò attingerà l'artista per la sua libera espressione.

Poi, apposta la firma, l'opera è compiuta e non è più sua.
Che venga acquistata, appesa su una parete di casa, esposta in una mostra, o ai limiti distrutta, non lo riguarda.
Una volta riposto il pennello nel liquido per non farlo seccare e per detergerlo affinché sia pronto per l'uso, l'artista dovrebbe essere così sapiente e libero da riuscire quasi a dimenticarsi dell'opera. 
Come l'innamorato che si dimentica della serenata eseguita non appena la bella si affaccia alla finestra. 

*Se non avessi visto, non avrei parlato. Grazie Giulio.



L. Fusco

Nella storia dell'arte o meglio nello studio, approccio alla storia dell'arte, siamo stati in qualche modo abituati, a volte costretti, a "riconoscere" la mano dell'artista: attraverso il colore, come confondersi con quelli particolari di Domenico Veneziano, di Piero della Francesca, Rosso Fiorentino fino a Kirchner o Gauguin! oppure attraverso il segno, dallo stile del "bel disegno" fino ad arrivare alle "cifre" dell'astrattismo; dai soggetti come nel periodo del romanticismo o dell'impressionismo; o dalle periodizzazioni stesse, cui gli storici dell'arte ci hanno abituato. Non sono pochi gli artisti che non rispondendo a certi canoni, o di difficile collocazione, o per una loro personalità non "svendibile", non accomodanti, non hanno incontrato una fortuna critica.

L.F.

IL SENSO DI OGNUNO

“L’arte è stupore, libertà e solitudine”. G.G.
Parafrasando l’affermazione di Giuliani, provocatoriamente proviamo ad invertire i termini.
E’ fondamentale che l’Artista sia solo dinanzi alla tela bianca, la solitudine scevra dal benché minimo senso di vuoto, stimolerà quella libertà interna che conduce la mano a muoversi quasi al di là di una precisa volontà…e lo stupore sarà innanzitutto quello dell’Artista che guardando la tela ormai non più bianca, quasi stordito si chiede come abbia potuto ottenere quella sfumatura, quell’ombra di colore che sulla tavolozza aveva tentato di ricreare senza riuscirvi, ed ora è là…

Ci si è sempre domandati cosa possa provare l’Artista mentre crea un’opera, più raramente ci si sofferma a pensare alla reazione dell’astante di fronte all’opera d’arte.
Ritengo che anche per questi, sia determinante la solitudine, gli assembramenti davanti ad un quadro tolgono la percezione di dialogo silente, necessario; soffermarsi più o meno nei pressi di un dipinto dovrebbe essere una propria libertà strettamente legata e trattenuta per mano dallo stupore che ciascuno può cogliere.

Come una musica rarefatta, composta da –apparentemente- pochissime note, ci imbattiamo in questi che non possono essere definiti “paesaggi” di Giuliani; le parole conosciute non vengono in aiuto per una enunciazione che restituisca quanto solo l’occhio può percepire.
Sono immagini, scenari, visioni silenti, saturi di colore annebbiato.
Lo sguardo si potrebbe piacevolmente smarrire se non fosse per quel senso di ombra creata da un albero in lontananza che diventa un sospiro di sollievo: nel silenzio c’è qualcosa!
Indugiamo ancora alla ricerca di altro, ed ecco apparire, come messa a fuoco, una frase; vien da ringraziare l’Artista per averci donato un appiglio che permette di navigare nel colore avendo adesso un punto fermo di equilibrio.

Passando da un’immagine all’altra ci coglie un’incertezza, che quasi ci fa tornare sui nostri passi per capire in cosa differisce questa dall’altra; volutamente siam messi alla prova!
Intestarditi osserviamo, vien voglia di curiosare ciò che sta di lato, come a sperare di trovare un proseguimento di questo onirico scenario, perché siamo certi che l’Autore ci nasconda qualcosa, volutamente ci mostra solo una finestra, lui è il viaggiatore che vede scorrere tutto e a noi dona solo una inquadratura, ci lascia sospesi.

Ecco, è una impressione di sospensione che, leggera, comunque ci appaga: un solo oggetto in più, un altro colore, un’altra parola, avrebbero compromesso l’essenza di una appagante solitudine.

Ciascuno è libero di ritrovare in questi silenzi se stesso,
o per dirla con Giuliani, percepire “il senso di ognuno”.



L.F.

ALFABETO MUTO


Non ci abitueremo mai alle repentine virate di stile di Giuliani; camaleontico l’artista dimostra così la sua particolare peculiarità nel non voler sedurre una volta per tutte, ma anzi, sfida l’astante nel mostrarsi in perenne evoluzione stimolando l’incontro con un conoscente che sorprende e meraviglia, scevro da qualsiasi volontà di consolazione.

E’ un nuovo linguaggio tutt’altro che muto, come provocatoriamente Giuliani ha voluto indicare: è una libera espressione dai toni silenti.

Come i suoi ultimi Paesaggi, rarefatti, apparentemente desolati, abitati al più da un’unica ombra, che ci sospingono a riflettere sul “senso di ognuno”, così le frasi (non) composte da lettere di primo acchito sparse in maniera ordinata, seppur senza un nesso logico e razionale, ci costringono ad una visione tutta estremamente personale.

Impossibile rimanere passivi di fronte alle “pagine” dipinte da Giuliani, ci viene richiesto un cimento intellettuale, concettuale, siamo così invitati a darle un nostro senso.

Allontanarsi fisicamente dai quadri, socchiudere leggermente gli occhi ed illudersi di avere dinanzi preziosi manoscritti antichi, quelli che solo esperti calligrafi riescono ad interpretare.

Avvicinarsi e rimanere sbalorditi dalla contemporaneità, in termini di tecnica pittorica e di capacità comunicativa, di un messaggio tutto da decodificare.
Ciascuno scorgerà un proprio lessico, cimentando l’individuale fantasia per far emergere dal profondo un significato, altro.

In una attualità in cui siamo sempre più spesso obbligati a dover soggiacere a costrizioni artistiche, esprimiamo riconoscenza al Maestro per non aver imposto una langue fissa, regolare, astratta ed averci così lasciati liberi di realizzare una nostra arte poetica, forse da troppo tempo sopita.

Afferma Giuliani “Ognuno di noi, se vuole può riconoscere il proprio limite e con fatica, spostarlo più avanti, ma solo chi ha talento può saltare oltre, trovando subito quello che altri sono costretti a cercare”, sappiamo con certezza che ci dobbiamo aspettare altri suoi “salti”, nel frattempo centelliniamo l’essenza del suo nuovo linguaggio…


L.F.

Giuliano giuliani dall’impressione di essere un artista atipico. Lontano da ogni narcisismo, chiuso e scrivo, non è facile farlo parlare di sé, quasi impossibile fargli raccontare la sua pittura. - La pittura non si racconta - mi dice - non fa rumore il pennello sulla tela, così come non viene da parlare davanti a un quadro che amiamo, un’opera musicale la possiamo cantare, se ci piace, la scultura stessa nasce dal rumore dei colpi, ma la pittura è silenzio, un silenzio di sofferenza per chi la fa ed un silenzio di riflessione per chi la guarda. Giuliano Giuliani, romano, dipinge da poco dipinge perché - ...è forse l’unica cosa che so fare, e che voglio imparare a fare meglio - E per iniziare a farlo ha aspettato ha cercato e finalmente ha capito che non poteva più attendere oltre a prendere una strada che sapeva definitiva, anche se dolorosa ed incerta. Studi disordinati, lavori diversi e sempre saltuari, una insofferenza che aveva una sola risposta. È finalmente il momento magico a Londra dopo una visita ad una mostra di Bacon che lo sconvolge e lo decide definitivamente. Ma dipinge in sordina quasi di nascosto sicuro di dipingere solo per se stesso, evitando dimostrare quello che fa. - .... mi sento a disagio, ho troppo pudore e rispetto della pittura per parlare della mia siamo soli, sempre ...come le figure dei miei quadri. Anche loro, queste figure che popolano le tele vengono fuori da sole, ma vogliono vivere così vincono loro. - Giuliano dipinge figure personaggi che raccontano il loro “essere” in modo particolare, autonomo: - Io dipingo in modo immediato senza razionalizzare quello che faccio, mi arrabbio quando loro sembrano essere arrabbiati, penso che nessuno dipingendo abbia modo di ragionare. Nella tela bianca c’è tutto: vengono fuori forme e colori, ognuno tira fuori quello che vuole o quello che può, senza pensarci troppo, tutto è dentro il quadro o forse dentro il pittore. Io mi ritrovo con figure con una spalla sola e non mi pongo il problema se sia giusto o no quello che è certo è che quella spalla non disturba anzi non potrebbe essere diverso.- Giuliano Giuliani, mi racconta che per lui le sue tele sono finite quando capisce che i suoi personaggi sono “finiti” che vivono la loro storia o le storie che raccontano e solo allora riesce a guardare il quadro. E per guardare un quadro, per amarlo come per dipingere, per lui bisogna solo essere buoni, profondamente buoni. Non ci devono essere altri aggettivi a proposito.

(Intervista raccolta da Luigi la Rosa Gravina.
1985)

LRG

Le opere di Giuliano Giuliani sono pure, chiare visioni: oltre le regole codificate della pittura di genere, i suoi sofisticati paesaggi si aprono ad uno spazio mentale, dove la realtà diventa eco di parole nel silenzio. I quadri della serie “Alfabe ti muti” sono invece superfici campite da lettere non combinate in morfemi, ma sospese nel loro valore di segno. Le lettere dell’alfabeto restano grafemi dotati di proporzioni e modularità; disposte in maniera tanto casuale quanto diversa per ogni opera. Esse diventano cosi forme estetiche e “momenti perfetti”, scelte dall’arti sta per la piacevolezza che suscitano allo sguardo: non proferiscono che una bellezza priva di articolazione sonora su uno sfondo monocromo.
I “Landscape”, come gli “Alfabeti muti”, riprendono in ripetizione un unico soggetto finché da esso, consumandolo con uno sguardo senza tregua, l’artista si distacca progressivamente.
Il lavoro per serie è un metodo amato e reso celebre da Monet e Cezanne per comprendere il soggetto e metterne a nudo il suo nucleo più profondo, quanto in esso rimane intatto nonostante il trascorrere delle cose. In questa prospettiva possiamo affermare il carattere meditativo delle opere di Giuliani: la rappresentazione del paesaggio è continuo esercizio intellettuale di pittura mentre gli alfabeti muti sono riflessione colta sulla gratuità del segno pittorico.
La pratica è inoltre affiancata e nutrita da una continua ricerca teorica, da un instancabile interrogarsi sulle ragioni del fare pittura “c’è un’esigenza quasi spietata che sale dal profondo e che viene a popolare di immagini il pensiero e impone un bisogno di dare vita a tutto ciò: ed è qui che germoglia il talento. Ognuno di noi, se vuole può riconoscere il proprio limite e con fatica, spostarlo più avanti, ma solo chi ha talento può saltare oltre, trovando subito quello che altri sono costretti a cercare” (Giuliano Giuliani). Il rigore nel giudizio sul proprio lavoro nell’universo dell’arte contemporanea una galassia di critici, artisti ed eventi spettacolari è dote rara: proprio per questo va riconosciuta ed evidenziata. Conforme a questa condotta senza velleità è il rapporto di Giuliani con i grandi maestri: i referenti sono numerosi e distanti per stili e coordinate geografiche, da Morandi a Baselitz, fino a Fontana, quello per cui l’artista romano prova maggior gratitudine è Matisse. Non c’è alcun tentativo d’emulazione del modello, ma un sincero apprezzamento del genio e la sconfinata ammirazione per coloro che, come Picasso, hanno fatto si che dopo di loro nell’arte nulla fosse più come prima.
Dal punto di vista stilistico nei “Landscape” i colori contribuiscono alla resa di un’atmosfera priva di demarcazione temporale: grigio, verde, blu, marrone sono predominanti nei toni neutri, in alcuni casi l’incidenza della luce li dota di densa la vibratilità cromatica. Le pennellate sono ampie ed una certa vaghezza del tratto deriva dalla propensione di Giuliani al togliere la materia dopo una prima stesura volutamente sovraccarica di colore. Un’operazione di riduzione che costituisce l’aspetto funzionale del quadro, poiché il senso ultimo dell’opera è in ciò che viene percepito dallo spettatore come mancante: la sua ricerca è l’invito che l’artista rivolge agli altri e a se stesso.
“Non si deve mostrare tutto. Questo appare difficile in pittura, dove lo spirito può cogliere solo quello che gli occhi vedono. L’arte del dipingere consiste nel saper indirizzare l’attenzione soltanto su quello che è necessario”: una dichiarazione di poetica di Delacroix apprezzata e fatta propria da Giuliani.
Nei paesaggi tornano le lettere, scritte in stampatello a comporre parole e frasi che, in assenza di titoli, l’autore fornisce come traccia per agevolare la comprensione dell’opera. L’innesto dell’espressione grafica nel campo della pittura avviene in maniera pervasiva sul finire degli anni sessanta; ad esempio John Baldessarri realizza nel 1968 quadri monocromi bianchi su cui fa dipingere da un calligrafo in stampatello citazioni o dichiarazioni paradossali che diventano il titolo dell’opera. Se in ambito concettuale la riflessione è sull’arte come linguaggio secondo precisi referenti filosofici, Giuliano Giuliani ci dimostra come è possibile utilizzare lo stesso motivo in forma didascalica, per aiutare la comprensione dell’opera invece che rimarcarne la dimensione tautologica.
Nei paesaggi le scritte sono sempre situate in basso mentre la linea d’orizzonte tende ad essere alta, in sua assenza il campo di visione diventa un terreno da attraversare per intero con lo sguardo. Per rappresentare un luogo conosciuto e caro, come ad esempio le colline della campagna senese, l’artista s’inoltra con la mente negli stessi sentieri che ha percorso, fino a raggiungere una visione della memoria in cui esperienza ed emozione conseguono una perfetta sublimazione. In alcune opere le colline in lontananza forniscono allo spettatore l’unico riferimento spaziale sicuro per orientarsi cosicché le loro sagome immerse nel silenzio diventano a poco a poco forme amiche.
La composizione bilanciata delle linee è ribadita dalla presenza di arbusti con grandi chiome tondeggianti, che popolano i luoghi come presidi abbandonati. L’albero è simbolo della solitudine, tanto dell’uomo quanto dell’artista, radicato in una realtà dove “io non possiedo che il mio corpo; un uomo completamente solo, col suo corpo soltanto, non può fermare i ricordi, gli passano attraverso. Non dovrei lagnarmi: il mio solo desiderio è stato d’esser libero” (J. P. Satre).
Poiché la libertà consente la pienezza dell’espressione artistica, Giuliano Giuliani non indugia in un ripiegamento nichilista e con coraggio e consapevolezza del proprio mestiere persegue la strada della pittura, nella certezza che “sei ciò che fai e fai ciò che sei. Non si scappa” (G. Giuliani). Soprattutto di fronte alla superficie bianca di una tela.


M.di Peco